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Rassegna stampa
Cuccurullo ricorda il medico scomparso e la polemica che li divise
«Di Bella, un caso e una lezione»
PESCARA - Sulla terapia anti-cancro di Luigi Di Bella i dubbi non ci sono più e non ci sono più dubbi neanche sulla grande capacità che il medico modenese aveva di comprendere e ascoltare chi soffre. Un ”maestro” d’altri tempi che aveva messo il malato al centro della sua attenzione e che anche per questo motivo era diventato tanto popolare. Franco Cuccurullo, rettore della ”d’Annunzio” e attuale presidente del Comitato di indirizzo per la valutazione della ricerca era, all'epoca del caso Di Bella, presidente del Comitato etico del Ministero della Sanità. Fu perciò testimone privilegiato e protagonista, forse suo malgrado, delle polemiche che invasero il mondo scientifico. «Di Bella era un uomo in buona fede - commenta Cuccurullo, ricordando il medico scomparso il primo luglio - e credeva con onestà in quello che faceva. Però tutti i protocolli di sperimentazione da noi verificati hanno dato esito negativo. E questo, sul piano scientifico, conta». La vicenda Di Bella però qualcosa ha insegnato a chi nel mondo della medicina - come sottolinea lo stesso Cuccurullo - «non si ritiene sacerdote della scienza». Ed è un insegnamento che vale per i primari con le “parrucche incipriate”, spesso tanto capaci quanto presuntuosi e arroganti ma anche per tutte le altre figure di questo palcoscenico infinito che è l’ospedale: medici di buona volontà, studenti di Medicina, infermieri e soprattutto i pazienti e i loro familiari spesso affranti di fronte a realtà intollerabili. L’insegnamento è questo: «La gente - dice Cuccurullo - è stanca di un rapporto con il mondo sanitario che si è progressivamente inaridito sotto il profilo umano. Il medico può essere molto bravo ma non basta. Il paziente deve sentire in quell’uomo con il camice bianco un amico pronto a battersi con lui, che lo capisce e lo aiuta ad affrontare la malattia. A quel punto è già compiuta la metà del cammino verso la luce». L’umanità della medicina, questo è il messaggio più importante della vicenda Di Bella. «Sì, ma per scoprirlo era davvero necessario un caso nazionale?».
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